Capitolo 5.1.1

Da aggregato alla coesione sociale

a) Tradizioni.

L’analisi condotta sulla realtà sociale del paese aveva fatto emergere che non Foto di A. Coronaesistevano tradizioni comuni, cioè punti sui quali potesse convergere l’interesse di tutti Tuttavia, ogni persona e ogni gruppo umano presente nel paese era legato a tradizioni e ricorrenze che andava puntualmente a celebrare nei luoghi di origine.
Gli ertani, ad esempio, sentivano molto la sacra rappresentazione del Venerdì Santo, che costituiva un richiamo così profondo e Foto di A. Coronairresistibile da imporre addirittura una tregua alle lotte e ai risentimenti più gravi, come quelli per la scelta dei luoghi dove ricostruire il paese e per la divisione dei due comuni. Un’altra circostanza che suscitava in essi un senso di grande solidarietà e partecipazione era la morte di una persona, qualunque essa fosse.

 

Foto di A. Corona Foto di A. Corona Foto di A. Corona Foto di A. Corona

Immagini della rappresentazione del venerdì Santo a Erto.

 

Nel tempo passato costituiva l’occasione in cui la famiglia del defunto, portando un pane in ogni casa, chiedeva alle altre famiglie il suffragio di una preghiera. 
I cassanesi invece, erano attratti in modo particolare dalla festa del carnevale nella quale essi esprimevano con forza il loro legame, il reciproco senso di appartenenza. La organizzavano con il contributo di tutti e consisteva in un grande ballo sulla piazza del paese al quale vi partecipavano in maschera e nei costumi tradizionali . Un’altra tradizione ben radicata era la veglia dei defunti, fatta di canti popolari a carattere morale con forti richiami alla vita eterna. In ambedue i gruppi era molto sentita anche la festa patronale. I forestieri e gli americani, oltre alle festività e ricorrenze a carattere nazionale, comuni a tutti, non ne avevano di particolari che suscitassero un senso di reciproca appartenenza, anche perchè i gruppi di uguale provenienza erano troppo esigui per mettere in risalto una loro particolare tradizione. Una delle prime iniziative del piano pastorale è stata quella di cercare anzitutto quali, tra le varie tradizioni esistenti nei singoli gruppi umani, potevano avere un interesse comune e, sulla base di questo, creare dei momenti di incontro che potessero in seguito svilupparsi e diventare tradizioni. Con questo si mirava al ricupero delle festività religiose, non solo per il loro aspetto cultuale, ma anche come momento di incontro umano e civile. In questo modo esse sarebbero divenute, per questa gente, un fattore aggregativo di notevole importanza. All’inizio vennero celebrate alcune ricorrenze: il Patrono, l’ Anniversario del disastro, il falò della fraternità, il carnevale. In breve se ne aggiunsero altre: la marcia della fede, il pellegrinaggio mariano, la giornata degli anziani, la festa del papà, della mamma, la cena dei collaboratori, senza contare il Natale, la Pasqua, Tutti i Santi, la commemorazione dei fedeli defunti, ecc. In ognuna di queste ricorrenze si sviluppava un tema particolare in sintonia con l’obiettivo dell‘anno. La festa veniva organizzata in modo da incidere positivamente sulla vita del popolo sia nella preparazione che nella celebrazione. Normalmente il tema suscitava un confronto di idee, e talvolta vivaci discussioni in famiglia, nei bar e nei luoghi di lavoro. Questo fermento creava opinione, stimolava la partecipazione, aiutava la gente a definirsi e a maturare una coscienza critica. Non tutte le festività e ricorrenze proposte affermarono come tradizione. Alcune, infatti, dopo una fase di entusiasmo iniziale, sono andate gradatamente scadendo. Altre, come la festa degli anziani, del papà e della mamma hanno subito una evoluzione confluendo rispettivamente nella festa dei malati e della famiglia. Quelle, infine, che presero piede avevano tutte un forte potere evocativo sulle persone, un legame, cioè, con l’esperienza passata, con un vissuto carico di ricordi affettivi, per cui diventavano l’espressione o la risposta a valori interiorizzati nel tempo. Dal 1971 al 1974 queste opportunità di incontro si sono affermate come un mezzo di fondamentale importanza per la sensibilizzare della gente al valore della fraternità e della solidarietà.  Piccoli mezzi come questi, quando diventano veicoli di valori, possono contribuire meglio di ogni altro a porre le basi del vivere umano e sociale e creare rapporti tra le persone, agganci, collegamenti e coesione anche là dove potrebbe sembrare impossibile.

b) Comunicazioni

Il piano pastorale, fin dall’inizio, aveva previsto un largo uso delle comunicazioni, ravvisando in esse un mezzo privilegiato per l’interazione tra le persone e tra gruppi umani, capace quindi di portare un contributo determinante nel processo di integrazione del paese. Dal 1970 al 1974 sono stati usati molti di questi mezzi di comunicazione col popolo; quelli però che hanno inciso con maggiore efficacia nel contesto religioso e socio-culturale del paese sono stati il Foglio Settimanale, i volantini, i manifesti murali , i souvenir. Il Foglio Settimanale, nato nel 1970, consiste in un foglio ciclostilato. Esso veniva mandato ogni sabato a tutte le famiglie attraverso una rete di persone chiamate messaggeri. Essi non solo avevano la funzione di recapitare il foglio, ma anche di essere un canale attraverso il quale cogliere e trasmettere determinate necessità. Di tanto in tanto i messaggeri avevano degli incontri tra di loro perchè, comunicandosi le esperienze, si conoscessero meglio e avessero una visione più unitaria dell’insieme. Il Foglio Settimanale recava informazioni sulle celebrazioni religiose e sulle varie attività pastorali e formative, sui servizi di carattere sociale e su qualsiasi altra cosa utile alla vita del paese. Nei primi anni esso recava in ogni casa anche la Parola di Dio riportando per intero i brani scritturistici della liturgia domenicale, con una breve introduzione che serviva a calarli nel vissuto quotidiano della gente. In questo senso, il foglio aveva anche valore formativo. Non minore importanza sul piano dell’evangelizzazione avevano i volantini, i manifesti murali, i vari souvenir che, secondo le circostanze e le celebrazioni, venivano rispettivamente diffusi, collocati sulle vie o sulle piazze e recapitati come segno di particolare attenzione. Tutti portavano messaggi coerenti col tema generale dell’anno e richiamavano le varie circostanze per le quali erano fatti.

c) partecipazione

La partecipazione come impegno personale e collettivo alla vita religiosa e civile del paese era uno scopo che il piano pastorale si era proposto, sin dall‘inizio, ed è risultato un mezzo di particolare rilievo in ordine all’integrazione sociale. Infatti, moltiplicando le interazioni essa fa sì che ognuno si senta coinvolto nel processo decisionale e concorra, su un piano di relativa uguaglianza con gli altri, a determinare gli obiettivi principali della vita collettiva, il modello di convivenza verso cui tendere e l’equa distribuzione fra tutti degli oneri e dei benefici. Le prime iniziative che miravano a questo scopo sono le assemblee alle quali veniva invitata tutta la gente per discutere su problemi inerenti ai vari aspetti della vita cristiana e parrocchiale. La prima assemblea, convocata nel gennaio 1972, discusse sulla situazione di isolamento del parroco nel contesto parrocchiale. Fu un momento importante per la gente perchè, forse per la prima volta, si è sentita stimata e valutata. La reazione è stata positiva e lo testimoniano le proposte di soluzione suggerite. L’assemblea, però, che suggellò in modo concreto il cammino verso la corresponsabilità e la partecipazione della gente è stata quella che nel settembre 1972 elesse il primo consiglio di amministrazione parrocchiale. 
Il coinvolgimento iniziato proseguì nelle assemblee successive che videro radunati, secondo le necessità, i capifamiglia, le donne e i giovani. Tutte le categorie di persone venivano interpellate e chiamate a partecipare attivamente alla vita della parrocchia. La popolazione, proveniente da un’esperienza di Chiesa prevalentemente verticalistica, che incentrava tutti i poteri e le decisioni nella figura del parroco, rimase profondamente colpita. In questo modo si erano poste le basi per un dialogo sincero nel quale trovava soluzione il problema dell’isolamento del prete. Molte persone, che prima si tenevano in disparte, cominciarono ad assumere il loro ruolo, per cui la vita della comunità risultò più animata e partecipata. 
Ogni assemblea veniva accuratamente preparata attraverso una informazione capillare sugli argomenti da trattare, per cui ogni persona si sentiva immediatamente coinvolta nella discussione. Erano assemblee informali, presiedute dal parroco, che su ogni argomento cercavano soprattutto l’unanimità dei consensi. Dove non era possibile tale unanimità si rimandava ad approfondimenti successivi in modo che le decisioni fossero il risultato di un vero e proprio discernimento. Gli ordini del giorno venivano mandati molto per tempo ad ogni famiglia della parrocchia. Questo suscitava tutta una serie di riflessioni e discussioni molto animate in famiglia, nel vicinato, tra amici, nei bar e nei posti di lavoro. A seconda dell’importanza degli argomenti, il parroco passava famiglia per famiglia ed entrava in argomento per dare le informazioni necessarie, per chiarire dubbi o malintesi. 
Interessante a questo proposito è stata la formulazione dello statuto per il Centro Comunitario Parrocchiale, fatta col contributo diretto della gente. Essa veniva invitata a discutere a piccoli gruppi per dare ad ogni persona la possibilità di dire il suo parere. Per la prima volta, nella discussione  furono invitati anche i rappresentanti dei partiti politici. Questo fatto ha innescato un processo di revisione all‘interno degli stessi partiti e che ebbe un seguito doloroso ma molto importante per la vita democratica del paese.

Indice Capitolo 5.1.1

  1. Catechesi
  2. Centro Comunitario
  3. Comportamento dei diversi gruppi umani in questa fase del processo educativo
  4. Centro Culturale
  5. Settimana della Fraternità

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